La primavera di Garcia

30.01.2014 17:16

Se una rondine non fa primavera, allora è lecito dire che una battuta infelice non fa di un uomo, un fanfarone da quattro soldi.

E’ arrivato nell’inferno di Brunico non proprio in punta di piedi ma piuttosto in gamba tesa, tra un Osvaldo che litigava coi tifosi e un De Rossi, con un biglietto aereo per Manchester sempre in mano, pronto ad essere utilizzato. Aveva capito da subito che con le buone maniere da queste parti non si arriva troppo lontani (Luis Enrique docet), ma nessuno aveva ben afferrato con chi aveva a che fare e da subito fu beffeggiato con l’appellativo di “sergente Garcia”.

Il matrimonio sembrava già terminato, come quelle coppie che appena pronunciato il si e subito dopo partiti per il viaggio di nozze, tornano da separati, perché uno dei due tradisce il partner proprio nel bel mezzo della vacanza.

Il matrimonio in questione era quello tra la Roma e Garcia, il viaggio di nozze era stato programmato per Brunico e il tradimento per i tifosi avvenne un tardo pomeriggio di Luglio quando presentandosi in conferenza stampa Garcia pronunciò, stufo dei continui insulti rivolti alla squadra, testuali parole: “Chi contesta è della Lazio”. Una frase infelice che alimentò ancora di più la rabbia dei tifosi, che risposero in malo modo (“laziale ce sarai te”) e che mise in grave crisi il rapporto del transalpino con la società capitolina.

Garcia capì, da uomo intelligente qual è, che era andato oltre le righe, e intese che per far ricredere il popolo giallorosso avrebbe dovuto fare qualcosa di magnifico. Così senza proclami ne promesse cominciò in silenzio la sua rimonta sulla scala dei cuori giallorossi: un lavoro tortuoso, fatto di strategie e frasi condite da gocce di miele verso giocatori, stampa e tifosi, per far si che si liberasse definitivamente di quell’antipatico appellativo che lo accompagnava nelle prime settimane romane.

Ha scelto personalmente i giocatori che dovevano rimanere, e le decisioni sono state complicate (Lamela-Pjanic) e ha scelto insieme a Sabatini i calciatori che avrebbero dovuto costituire lo zoccolo duro della squadra (Strootman, De Sanctis, Maicon…).

Poi è arrivato il campo a sancire definitivamente chi fosse il degno erede di Napoleone: un Bonaparte moderno riconosciuto in una squadra tutta d’attacco, ma senza tralasciare nella difesa i minimi dettagli che hanno consentito a Garcia di entrare con una speciale Wild Card nella storia del club.

Dieci vittorie di seguito nelle prime dieci giornate, nessuno ci era mai riuscito né a Roma né in Italia, e lo ha fatto con la nonchalance che lo contraddistingue, con in mezzo un derby dominato, vinto e riqualificato con una frase che i romanisti aspettavano dal 26 Maggio: “abbiamo rimesso la chiesa al centro del villaggio”.

Fieri di aver ritrovato un degno e vincente condottiero (qualcuno si era dimenticato che già aveva vinto un titolo in Francia!!) i tifosi e l’ambiente tutto hanno “risposato” il proprio tecnico, e nel proseguo della stagione, mai hanno avuto modo di ricredersi, di lui, della sua intelligenza delle sue scelte e di tutto il suo essere.

Adesso per Garcia il nemico si chiama Juventus, sicuramente molto più ostico da conquistare rispetto al cuore caldo del popolo giallorosso.

Il primo round sappiamo come è andato, ma Monsieur Garcia sa che perdere una battaglia non compromette nulla sulla vittoria della guerra, e adesso che ha imparato come si fa a battere la Juventus cercherà di arrivare al prossimo scontro diretto sul filo di lana per “matare” definitivamente la Vecchia Signora.

La befana non ha lasciato strascichi nei sentimenti dei romanisti, nei confronti del loro coach, ma al vecchio Rudi deve essere rimbombato di nuovo nella testa quel titolo di sergente che sapeva tanto di presa in giro, che gli avevano affibbiato appena sbarcato a Roma.

Una rondine non fa primavera, ma Maggio prima o poi arriverà e il sergente lavora per far si che avvenga la sua “primavera di Praga” per liberarsi definitivamente da quell’appellativo e diventare una volta per tutti Garcia le gagnant.


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